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Fra leggenda e storia
Si narra che, nel 934, due coniugi tedeschi diretti in pellegrinaggio a Roma, ebbero un figlio a Sezzè (Sezzadio, presso Acqui) cui diedero il nome di Aleramo.
Il neonato fu lasciato in custodia ad una balia, crebbe fra i contadini e, divenuto adulto, iniziò a girare l’Europa. In Germania conobbe Adelasia, figlia dell’Imperatore Ottone, e con lei fuggi in Italia.
Erano trascorsi alcuni anni, quando Aleramo si arruolò nelle truppe che il Vescovo di Albenga inviò in aiuto dell’Imperatore Ottone, impegnato nell’assedio di Brescia, ed ebbe occasione di farsi notare per il suo valore.
Ottone, venuto a conoscenza dell’identità del valoroso guerriero, non solo perdonò Aleramo di avergli rapito la figlia, ma lo elevò al rango di Marchese. Correva l’anno 967.
L’unica realtà storica è forse questa, ma la leggenda narra che Aleramo, ricevuta dall’Imperatore l’investitura feudale su tutte le terre che fosse stato in grado di percorrere a cavallo in tre giorni, ebbe cura, prima della gran cavalcata, di ferrare il suo destriero e adoperò, in mancanza di attrezzi più adatti, un mattone (mun). Da li l’espressione Munfrà, ferrato con un mattone. Nella Parrocchiale dei SS. Vittore e Corona riposano le spoglie di Aleramo I, capostipite dei Marchesi del Monferrato, una delle più potenti famiglie del Medioevo. Le segnano un frammento di mosaico del sec. XII e il distico:
Montisferrati Alderamus marchio primus
Hic jacet et merito nunc super astra viget. Aleramo fece erigere in Grazzano un’Abbazia e la dotò riccamente